Mangiamo meno ma meglio. L'obesità come problema sociale

L'OMS ha stimato che, annualmente, circa 250mila decessi in Europa e più di 2-5 milioni in tutto il mondo siano correlati a problemi di peso, a loro volta spesso collegati a malattie metaboliche (diabete di tipo 2, ipercolesterolemie e ipetrigliceridemie, ecc.), cardiovascolari e ad alcuni tipi di tumore. L'eccesso ponderale è in continuo aumento, raggiungendo in Europa percentuali superiori al 50% ed al 30%, rispettivamente, per soggetti in soprappeso e clinicamente obesi, in America attestandosi al 64% per i sovrappeso-obesi e nel mondo a circa 1 miliardo di persone con eccesso ponderale; in Italia abbiamo circa il 10% di soggetti obesi, con maggiore prevalenza nelle donne e al Sud. In realtà, in quasi tutti i paesi si sta verificando un rilevante aumento della prevalenza dell’obesità: nei paesi più poveri, è più frequente nelle donne e nelle persone con reddito più elevato; nei paesi più ricchi, in tutte le età, ma soprattutto nelle donne con basso livello socio-economico, che risultano anche incoraggiare di più i figli a mangiare.

L’obesità, quindi, rischia di diventare un problema sociale.

La prevalenza di obesità nei bambini e negli adolescenti, predisposti a diventare adulti obesi, è in forte crescita in tutto il mondo, ma l’aumento raggiunge addirittura livelli di 8 volte fra i bambini prescolari cinesi. Le bambine che mettono su chili di troppo nei primi anni di scuola mostrano spesso prestazioni scolastiche, comportamentali e sociali inferiori rispetto alle compagne normopeso. Fattori favorenti gli errori sono il notevole consumo di cibi e bevande ad alta densità energetica e poveri in micronutrienti e di fast-food; elevate assunzioni di bevande dolcificate con zucchero; porzioni abbondanti dei cibi consumati fuori casa; un elevato consumo di alimenti prontamente disponibili, come gli snack.

L’assunzione di cibo è anche influenzata da una ricca offerta di consumi, in continua evoluzione, con l’introduzione di sempre nuovi alimenti, provenienti da tutto il mondo. Gli interventi devono avere il fine di invertire o ridurre l’effetto dei cambiamenti dietetici sfavorevoli che si sono verificati nel secolo scorso nel mondo industrializzato e più recentemente in molti paesi in via di sviluppo, e che possono paradossalmente essere definiti un approvvigionamento di alimenti stabile ed abbondante ed una vita comoda. L’altra raccomandazione è di praticare attività fisica d’intensità moderata, come camminare, per un totale di un’ora al giorno, per più giorni la settimana (OMS 2003), perché l’attività fisica è in grado di ottenere miglioramenti di efficienza fisica e di prolungare la durata di vita totale e quella senza patologia cardiovascolare in maniera proporzionale al suo grado di intensità ed in maniera sensibile anche per livelli di grado moderato.

Piccoli cambiamenti nella maggioranza di individui a rischio moderato possono avere un impatto enorme in termini di rischio di morte e di inabilità sulla popolazione. Questi cambiamenti possono essere perseguiti attraverso interventi intersettoriali che vedano partecipi i cittadini, le istituzioni, gli operatori sanitari, il privato sociale, il volontariato, le industrie e le altre realtà a qualsiasi titolo interessate. L’OMS, in un documento del 2002 ha sollecitato gli stati membri a sviluppare “…una strategia globale sulla dieta, sull’attività fisica e la salute per la prevenzione ed il controllo delle malattie non trasmissibili, basata sull’evidenza e sulle migliori regole, con particolare enfasi a un approccio integrato…”. I risultati sono stati, finora, limitati dallo scetticismo sull’efficacia degli interventi, dalla convinzione che sia necessario un lungo tempo di attesa nel raggiungimento di risultati misurabili, dalle pressioni commerciali, dalle risorse inadeguate e dalla frequente inerzia delle istituzioni.

E’ necessario collaborare anche con le industrie alimentari per migliorare la qualità dei prodotti più aderenti alle raccomandazioni nutrizionali e per favorirne con incentivi la commercializzazione e per imporre un’effettiva e chiara etichettatura, sulla base della constatazione che circa l’80% del cibo consumato nei paesi industrializzati è prodotto dall’industria agro-alimentare. Il codice di autodisciplina del mondo pubblicitario e dei mezzi di comunicazione deve essere più vincolante per trasmettere messaggi non ambigui, soprattutto se rivolti ai bambini e giovani.

L'obesità non deve essere considerata un’epidemia inarrestabile, un moderno flagello, ma dovrebbe essere trattata come prevenibile e curabile mediante intelligenti interventi sullo stile di vita. Ad alcuni ragazzi è bastato ricompensarli con “premi” per incrementare l’attività fisica, migliorando il peso e riducendo il consumo di grassi, l’introito calorico derivante dagli snack e l’assunzione di cibo-spazzatura davanti alla TV. In definitiva lo slogan potrebbe essere: mangiamo meno, ma meglio.